È sempre brutto fare la parte dei pessimisti, ma non lo siamo gratuitamente. Capita di ascoltare, guardare, magari anche di sfuggita, per un attimo ed in quel mentre sopraggiunge istantaneo un sussulto. Come un moto di ribellione si sveglia improvviso dentro di noi, ci agita, ci fa gridare allo scandalo, all'idiozia, all'iniquità. Ma istantaneo se ne torna indietro, ricacciato dal buon senso, dalla volontà di adeguarsi ai tempi, alle mode, alla vita che, nonostante tutto, va avanti. Sì, ma come? Come va avanti? Perché se ci limitiamo a voler vivere allora forse va bene così, ma se vogliamo vivere da uomini, allora non possiamo lasciarci trascinare dalla fiumana di beati beoti che affollano il mondo civilizzato. Eppure è molto semplice: basta accomodarsi, basta lasciar fare, lasciarsi guidare, abbandonare un po' per volta il senso critico, se mai l'abbiamo avuto. Perché la vera tragedia è che sempre meno persone riescono a svilupparlo. Sempre meno persone sarebbero capaci di creare pensieri alternativi a quelli che sentono in televisione o leggono sui giornali. Sempre meno persone sono capaci di analizzare e comprendere veramente il senso complessivo, di avere una visione d'insieme. Ma se ci riduciamo a branchi di pecore, chi sarà il pastore? Se consacriamo la nostra vita ad un mondo che crediamo il nostro, ma che in realtà altro non è che uno schermo tanto bello quanto falso? Tanto colorato quanto triste? E quanto è triste quest'essere visto da fuori, convinto magari anche di essere un rivoluzionario, che critica e battaglia incessante contro il presunto nemico, senza capire che fa tutto parte del gioco. Senza capire che anche il suo dissenso è pilotato. Forse si arriverà ad una forma di democrazia totalitaria, dove in realtà non conta chi vince le elezioni, anche se ci si continuerà ad insultare, ma a cascarci saranno solo gli elettori. Forse si riuscirà talmente bene a diseducare le persone che nessuno si renderà più conto di venir preso in giro, di venire raggirato, ma, anzi, penserà che sia tutto fatto per il suo bene. Il suo e quello della Nazione, del mondo intero anzi. Forse si arriverà a quel punto, forse ci siamo quasi. Ma non si creda potrà durare a lungo. E non solo perché c'è gente sveglia non ancora ipnotizzata che arriva ed arriverà a frotte da fuori. Ma anche perché se pure un giorno tutti fossimo cotti a puntino, allora la razza umana sarebbe prossima all'estinzione. E se sentiamo frasi in italiano scorretto, dannazione, correggiamole!
9/14/2010
6/22/2010
Qaddafi "adopts" Italian mountain town

Muammar Qaddafi has eradicated and restructured the Libyan calendar, publicly supported international terrorism and then called the Security Council the "terror council," ordered an entourage of virgin bodyguards and a Saharan camel to accompany him to public events, and even demanded that the U.N. abolish Switzerland.
So what's the next move from the maniacal megalomaniac? The most shocking of all: a random act of kindness. Colonel Qaddafi has personally procured a plan to save a fledgling Italian town, ostensibly harboring no motivation in the project aside from altruism and affection.
The fateful meeting between Qaddafi and his newly adopted medieval mountain town was love at first sight. Last year, while traveling to the G8 Summit, Qaddafi feared the recent 6.3 magnitude earthquake had weakened the infrastructure in central Italy and demanded his caravan take a detour. The new route took Qaddafi through the financially struggling town of Antrodoco, where the 2,800-person population showed him such warmth and hospitality that he reportedly declared, "You have entered my heart and I won't forget you." Promptly after his return home, Qaddafi sent his Roman ambassador and various other envoys to the village with promises of building luxury hotels, clean-water manufacturing plants, and a sports complex, and a general commitment to facilitating improvements in tourism and employment rates. A week-long conference to discuss the plans is now in the works.
It's a bit difficult to imagine Qaddafi and his motorway pulling around a mountain bend somewhere in Italy, the Libyan leader emerging from the depths of his flashy limousine -- decked out in his floor-length cape and Miami Vice-inspired G8 Summit suit, no less -- as Antrodoco's knight in shining armor. Then again, it was difficult to imagine him inviting five-hundred models to an evening out on the town, only to give each a personal copy of the Koran and attempt to convert them to Islam. Touché, Colonel -- you've surprised us again.
4/13/2010
It happens sometimes
3/29/2010
Perdite
Romania, l'horror estremo (Corriere della Sera 29 marzo 2010)
Dario Fertilio racconta l’esperimento carcerario di Pitesti nel libro "Musica per lupi"
Aleksandr Solgenitsin «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno»
Romania, l'horror estremo
Dario Fertilio racconta l’esperimento carcerario di Pitesti nel libro "Musica per lupi"
La vicenda raccontata in forma narrativa da Dario Fertilio in «Musica per lupi» si è svolta in Romania, nel carcere di Pitesti, fra il 1949 e il ’52, sotto la dittatura filosovietica. Al centro delle torture ininterrotte che avevano lo scopo di edificare «uomini nuovi», degenerate in sadismo e blasfemia, si distinse il detenuto Eugen Turcanu (foto sotto), poi fucilato con i complici per nascondere la verità. Sulla vicenda, sinora tenuta segreta e definita da Aleksandr Solgenitsin «il più terribile atto di barbarie del mondo moderno», il regista Sorin Iliesiu sta girando un film in Romania
La cittadina romena di Pitesti, situata un centinaio di chilometri a nord di Bucarest, può sembrare un posto come tanti altri; persino una località relativamente amena, dove «il solito grigio dell’est, la vernice che un tempo ha ricoperto tutto» trasformando i vecchi quartieri in file di tetri casermoni, è mitigata dalle colline circostanti e, più oltre, dalle sagome ammantate d’abeti dei Carpazi che si possono ammirare dalla terrazza superiore; una località dove ogni aprile si svolge una mostra internazionale dedicata ai tulipani, in occasione della quale le fontane inscenano giochi d’acqua e di luci e le bambine sfilano nei costumi tradizionali per celebrare la festa della primavera. Difficile credere che questo scenario di normalità nasconda la memoria dell’orrore; eppure proprio qui, a Pitesti, sorgeva un tempo un carcere speciale per la «rieducazione» dei prigionieri politici, nel quale, tra il 1949 e il 1952, furono commesse atrocità tali da costringere persino il non tenero regime di allora a intervenire per porvi un termine, punendone i responsabili. Non atrocità isolate; piuttosto, un organico e coerente sistema di tortura fisica e morale, affidato non alle guardie, ma agli stessi detenuti già «rieducati», che si trasformavano in implacabili aguzzini dei loro compagni. Eugen Turcanu
A questo tremendo episodio della storia novecentesca Dario Fertilio dedica il suo nuovo libro, Musica per lupi (Marsilio, pp. 172, € 15), una tesa, sconvolgente narrazione nella quale i documenti storici sono rielaborati con esiti di grande intensità espressiva. Un libro sugli orrori del totalitarismo, certo: tema al quale Fertilio ha già dedicato altre volte la sua attenzione. Qui però sembra che l’aspetto ideologico costituisca il punto di partenza per una più profonda e radicale indagine, non tanto da storico quanto da scrittore, sull’abisso che l’animo umano può albergare e che in certe circostanze si spalanca, travolgendo ogni resistenza morale e intellettuale: «un luogo smisurato che alimenta sogni, ricordi e creazioni elevate; ma anche idee mostruose e azioni inumane».
A sfigurare i detenuti di Pitesti sino al completo annientamento della coscienza e della personalità è senza dubbio la serie implacabile di tormenti fisici che si protrae giorno e notte, senza interruzione; è l’umiliazione delle «confessioni» forzate in cui si è costretti a denigrare se stessi e le persone care e a rinnegare qualsiasi fede o principio in nome della nuda sopravvivenza; ma più ancora (e appunto questo distingue l’«esperimento» di Pitesti da altri episodi analoghi) è la torbida, irresistibile seduzione esercitata dal male sulle proprie vittime. Eugen Turcanu, il capo e ispiratore della squadra di detenuti-aguzzini, colui che ne crea e ne perfeziona i metodi con minuziosa crudeltà, trasformandoli in una sorta di mistica della tortura, sembra perfetto per esercitare il ruolo del seduttore: con il suo fisico atletico e gli occhi azzurri abitati da una luce di perversa spiritualità, più che ai demoni orrendi dell’iconografia medievale somiglia a Lucifero, all’angelo caduto; e spesso al terrore che i prigionieri provano per lui vediamo mescolarsi una morbosa forma d’amore.
Non per caso Fertilio, all’inizio del libro, menziona il marchese de Sade e paragona il carcere di Pitesti al castello delle 120 giornate di Sodoma, il luogo emblematico «dove la più sfrenata fantasia distruttiva ha modo di manifestarsi»; ma a questa fantasia distruttiva corrisponde, nell’animo di chi la subisce, un’altrettanto potente vertigine autodistruttiva che fa della vittima stessa un complice del proprio annientamento. È come se qui la psicopatologia desse una mano alla storia (o alla psicopatologia della storia, se vogliamo considerare così le aberrazioni dei regimi totalitari) per consentirle di scrivere le sue pagine più cruente.
È un lungo, atroce rito orgiastico quello che per circa tre anni è stato celebrato a Pitesti sotto la regia di Turcanu: una versione estrema, quasi didatticamente esasperata, di quell’impulso alla negazione di sé che a volte spinge interi popoli a consegnare entusiasticamente la propria libertà nelle mani del dittatore di turno. Fertilio ci mostra all’opera questo meccanismo non tra le masse, ma nelle pieghe più riposte delle coscienze individuali e tra gli spasimi di corpi martoriati; e proprio qui la denuncia cede il campo a una sorta di sgomenta pietà. «Eravamo tutti dannati», dichiara un personaggio sopravvissuto a Pitesti. «E tutti innocenti»; perché «oltre certi limiti di sofferenza... non si può continuare a essere uomini».
Paola Capriolo28 marzo 2010(ultima modifica: 29 marzo 2010)
3/26/2010
Chi sono?
3/17/2010
social networking sites
HAROLD ABELSON, a computer science professor at M.I.T., on personal information that can be gleaned from social networking sites.